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L’anello al naso

Ci sia consentito di dare conforto all’anima di Licio Gelli, passata all’Oriente eterno il 15 dicembre 2015 all'età di 96 anni, assicurandogli che non tutti gli italiani hanno l’anello al naso.
     La vicenda che intendiamo raccontare prende avvio da una delle interviste concesse dal venerabile della loggia P2, oggi sempre meno reperibili sul web per ragioni di decoro e convenienza. È addirittura scomparsa, ad esempio, quella nella quale il “burattinaio” di Arezzo si vantava di aver proposto a Tina Anselmi, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2, la carica di Capo dello Stato — in cambio, tacito, di un parere ammorbidito nella relazione finale.
     L’intervista sulla quale vogliamo invece soffermarci fu pubblicata sul settimanale Oggi il 16 febbraio 2011, la quale tra l’altro riportava le seguenti parole di Gelli: "Giulio Andreotti sarebbe stato il vero 'padrone' della Loggia P2? Per carità... io avevo la P2, Cossiga la Gladio e Andreotti l'Anello". L'Anello? "Sì, ma ne parleremo la prossima volta".
     Nel trascrivere il dialogo, il giornalista decise di scrivere la parola Anello con la "A" maiuscola. Da quel momento in poi, tutti si lanciarono in ricostruzioni più o meno fantasiose, immaginando trame segrete risalenti alla fine della Seconda guerra mondiale, e tirando in ballo il cosiddetto “Noto Servizio”. Stefania Limiti ne ha tratto anche un libro!
     Eppure, trattandosi di una intervista vocale, se la lettera "a" fosse stata in minuscolo il senso sarebbe mutato radicalmente: "... io avevo la P2, Cossiga la Gladio e Andreotti l'anello". Magari, verbalmente, Gelli voleva semplicemente dire che "Andreotti era l'anello", ossia l'anello di congiunzione.
     Ma congiunzione di cosa? Volendo esser franchi, il "divo" Giulio Andreotti è sempre stato considerato negli ambienti politici come il punto di riferimento del potere italiano: crocevia dello IOR vaticano e dunque con l’Opus Dei, in rapporto con la mafia (contiguità provata giudiziariamente solo fino al 1980), i servizi segreti, la Cia, e probabilmente anche con la massoneria. In questo senso la parola "anello" assume un significato ben più preciso: simbolo di connessione tra i diversi livelli del potere. Ma a cosa si riferiva effettivamente Gelli?
     Nella Relazione della Commissione Anselmi si fa riferimento ad un’altra intervista di Gelli, pubblicata su Il Tempo il 28 gennaio 2011, dove egli affermava:: “Quel piano, come lo chiama lei, non solo lo rifarei, ma vorrei anche riuscire ad attuarlo, se solo avessi venti anni di meno. All’epoca, se avessimo avuto quattro mesi di tempo ancora, saremmo riusciti ad attuarlo […] In quel momento avevamo in mano tutto: la Gladio, la P2 e […] un’altra organizzazione, che ancora oggi non è apparsa ufficialmente, non creata da noi ma da una persona che è ancora viva tutt’oggi, nonostante abbia oramai tanti anni […] Avevamo tre organizzazioni […] ancora quattro mesi di tempo e avremmo sicuramente messo in pratica il piano […]».
     Nonostante le massonerie ed i giornalisti obbedienti abbiano sempre fatto di tutto per occultare i messaggi che Aldo Moro inviò ai fratelli massoni, annidati subdolamente nei suoi scritti in modo che solo chi appartenesse al sistema avrebbe potuto comprenderli, il politico ucciso dalle Br si tradì quando nella sua prima lettera a Cossiga fece riferimento alla massoneria identificandola con il vero ”gruppo dirigente”, scrivendo in modo ”molto riservato” […] ”agli amici con alla testa il presidente del Consiglio”. A quei tempi il presidente era proprio Giulio Andreotti, probabilmente a capo degli "amici massoni" della P1.
     Moro ne dà ulteriore conferma nel Memoriale quando, indicando come responsabili della sua condanna “Andreotti e il suo inimitabile gruppo dirigente”, rivela indirettamente la catena di comando della loggia madre.
     Come abbiamo più volte chiarito, negli scritti della prigionia Moro descriveva Giulio Andreotti come capo della loggia massonica suprema, la Propaganda 1 (P1), struttura che rappresentava il potere assoluto: determinava cariche, azioni e direttive alle quali i sudditi massonici dovevano uniformarsi. Sotto questo aspetto, è evidente che gli alti obbedienti della P2 non fossero altro che semplici esecutori. La P2 non era organizzata per funzionare da organismo dirigente, né aveva autonomia decisionale: Gelli ne era il centro stella, il punto di trasmissione degli ordini provenienti dalla P1, nella quale era inserito come Primo Sorvegliante.
     In sostanza, secondo le parole e i segnali lasciati da Aldo Moro, Giulio Andreotti — morto il 6 maggio 2013 all’età di 94 anni — era il capo della loggia massonica suprema P1, dalla quale derivavano le direttive alle quali il GOI doveva sottostare e che poi venivano distribuite ai fratelli obbedienti.
     Sotto questo aspetto, la P1 di Andreotti combacia perfettamente con “l’altra organizzazione ancora non apparsa ufficialmente” di cui parlava Gelli: la struttura che, secondo la logica del potere invisibile, determinò la morte di Aldo Moro, dando l’ordine di abbandonarlo nelle mani delle Brigate Rosse e impedendo il suo ritrovamento.


di Giovanni Corrao - 27/10/2025



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