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La tassa sulle bugie

Un politico dovrebbe complimentarsi, un cittadino ribellarsi.
     Perché la prima domanda che probabilmente si è posto il novello presidente degli Stati Uniti, all’indomani della sua elezione, è stata: "E ora, come faccio ad aumentare le tasse senza farlo capire ai miei concittadini?". La risposta, da vero politico, è stata stupefacente: raccontare bugie.
     A pagare il prezzo della sua trovata non saranno i paesi stranieri, come vuol far credere, ma gli stessi cittadini americani, che si ritroveranno a sostenere un balzello aggiuntivo — una tassa occulta — ogni volta che acquisteranno merci importate. Chiunque cerchi sul web la voce "dazio" trova una definizione semplice: "Imposta indiretta sui consumi, riscossa alla frontiera, che colpisce la circolazione dei beni tra Stati". Ma la definizione furbesca del nuovo presidente è un’altra: "Il mondo è stato ingiusto con gli Stati Uniti, imponendo condizioni di scambio più pesanti di quelle praticate dagli Usa". Traduzione: non saranno gli americani a pagare, ma gli altri. E anzi, "gli americani si arricchiranno".
     La realtà, però, è un’altra. Il dazio sarà pagato dagli americani stessi. I paesi esportatori ridurranno probabilmente le vendite verso gli Usa. Ma ciò non garantisce affatto un immediato aumento della produzione interna americana.
     Quel che è certo, invece, è che si avranno:
– un generale aumento dei prezzi,
– una contrazione dei consumi,
– una ricaduta negativa sulla borsa, che infatti ha già reagito.
     Complimenti al politico, dunque. Ma grido d’allarme per i cittadini, che dovrebbero ribellarsi alle nuove imposizioni, perché — anche se la stampa addomesticata tace — prima o poi il conto arriva. E non solo agli americani.
     Immaginiamo l’Europa, oggi impegnata a rincorrere il riarmo, ma senza adeguate risorse finanziarie. Se qualche governo pensasse che i dazi potrebbero portare gettito fiscale, potremmo assistere a un’imitazione dell’esempio americano. Altro che libero scambio: barriere, gabelle, dazi su tutto. Un rovesciamento del principio su cui si basava la Via della Seta, che prevedeva l’apertura dei mercati, non la loro chiusura.
     La nostra tradizione repubblicana ha parlato chiaro, e la voce fu quella di Ugo La Malfa: "libero scambio, apertura dei mercati, cooperazione economica tra i popoli". Non per ingenuità ideologica, ma per profonda convinzione "solo la libertà degli scambi può generare sviluppo, progresso, civiltà".
     Per analogia, si può dunque affermare che il ritorno ai dazi porterà con sé:
– crisi economiche,
– mortificazione dei mercati,
– restrizione delle libertà individuali.
     Trump sta conducendo il mondo in un vicolo cieco. C’è qualcuno in grado di spiegarglielo?


Perché furono rimossi i dazi?
     I dazi doganali furono progressivamente ridotti a partire dal secondo dopoguerra, soprattutto grazie ai negoziati del GATT (Accordo generale sulle tariffe e sul commercio, 1947) e successivamente alla creazione del WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio, 1995). L’obiettivo era evitare il ritorno alle politiche protezionistiche che avevano aggravato la Grande Depressione del 1929, con l’esempio emblematico della legge Smoot-Hawley (1930), che innescò una guerra commerciale globale.
     In Europa, la Comunità Economica Europea nacque proprio per superare i dazi tra Stati membri: abolire le frontiere commerciali fu considerato una garanzia di pace e benessere.


Il pensiero di Ugo La Malfa sui dazi e sul libero scambio
     Ugo La Malfa fu un convinto sostenitore dell’economia di mercato, con regole, ma senza barriere. Secondo lui, la protezione attraverso dazi non difende realmente i lavoratori, ma piuttosto congela l’arretratezza e ostacola l’innovazione. La Malfa riteneva che un paese moderno dovesse puntare sulla competitività, la produttività e l’apertura internazionale, e non su misure retrograde.
     Nel 1955, durante un discorso alla Camera, dichiarava: "Proteggere un’industria non competitiva con dazi significa condannare il paese a vivere nell’inefficienza e nel ristagno". Era anche critico verso l’illusione autarchica: "Il progresso non può svilupparsi dietro muri. La storia insegna che le nazioni chiuse cadono nella stagnazione e nella servitù".


di Giovanni Corrao - 26/05/2025



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