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Recensione de "Il segreto di Moro"

Marcello Tuveri, repubblicano, fine politico, docente di diritto costituzionale,
recensisce il recente saggio di Giovanni Corrao, "Il segreto di Moro"
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Sono passati quarantatre anni dal sequestro e dall’assassinio di Aldo Moro e della sua scorta, ma la tragica vicenda interroga e inquieta ancora l’opinione pubblica. Nel ricordo di quanti apprezzarono il ruolo del presidente della Democrazia cristiana, il suo rapimento mentre andava a votare il quarto gabinetto Andreotti e la fine dei cinque carabinieri e poliziotti che lo scortavano resta uno dei più gravi fatti di sangue della prima repubblica. L’assalto di via Fani, una strada di Roma, da parte di un gruppo armato il 16 marzo 1968 ed i successivi 55 giorni di prigionia del politico in un appartamento di copertura delle Brigate rosse, riportavano alla mente in Italia i modelli sudamericani di guerriglia urbana. La lettura della discussa svolta politica che ne seguì non conosce tuttora soste.
     Dalla prigione in cui i brigatisti rossi avevano sequestrato Moro partirono messaggi e lettere del grande politico al Ministro degli interni Francesco Cossiga ed al presidente del Consiglio dei Ministri a cui il sequestrato chiedeva solidarietà. Le commoventi espressioni della vittima, le reazioni dei familiari e dell’opinione pubblica sino al ritrovamento dopo cinquantacinque giorni del suo cadavere nel cofano di un’automobile sono le raccapriccianti testimonianze del delitto. L’auto in cui era stato abbandonato fu lasciata in via Caetani, una strada centrale della capitale che collegava la sede nazionale della Democrazia cristiana a quella del Partito Comunista Italiano.
     In un recente volume Giovanni Corrao, un ingegnere che per diversi anni ha operato nella comunicazione sociale telematica, ripropone il tema con una non facile ricostruzione, dando risposte concrete alle incertezze e alle divagazioni sorte da quel continuo assalto allo Stato, culminato con l’eccidio del 16 marzo 1978 e l'omicidio di Aldo Moro.
Il segreto di Moro      Il saggio "Il segreto di Moro" (Nuova Prhomos – 2020, 218 pagine) ricostruisce i fatti in un limpido succedersi di numerosi brevi capitoli delineando il comportamento delle forze politiche e degli organi di governo in un momento nel quale l’indeterminatezza come la fermezza determinavano il disorientamento dell’opinione pubblica nazionale.
     Le diverse reazioni, tra le quali quelle della famiglia ed in particolare della moglie Eleonora Chiavarelli, erano ispirate anche alla diffidenza verso alcuni colleghi del marito. Nonostante le numerose lettere scritte dal presidente nella prigione Br, emerse poi l’incapacità di individuare i covi, i latori del messaggio, e gli obbiettivi criminali delle Brigate rosse. Sconcertanti richieste erano rivolte al riconoscimento di una forza rivoluzionaria antagonista di derivazione marxista e, nel presente politico, nella negazione di qualunque intesa compresa quella auspicata dall’on. Moro tra la Dc ed il Pci. Le formule nel politichese del tempo erano la "strategia dell’attenzione" verso il Partito della sinistra marxista, mentre per altro verso Enrico Berlinguer, segretario del Partito comunista italiano, aveva avviato la linea del "compromesso storico" per porre fine ad una incipiente crisi del sistema democratico. Il lunghissimo "68" italiano aveva ispirato la rivolta del mondo studentesco e l’intensificazione della lotta operaia, a cui si contrapponevano propensioni autoritarie e possibili tintinnii di sciabole e restrizioni antiliberali. L’organizzazione politica clandestina come presenza armata si era specializzata in attività eversive contro le strutture economiche, espressione del sistema capitalistico. Attacchi alle fabbriche, occupazioni di scuole e università, processi "popolari" contro dirigenti di grandi aziende. La violenza dell’attività terroristica puntava le armi contro magistratura, responsabili dei servizi di polizia, giornalisti e militanti politici e sindacali.
     Le Brigate Rosse disponevano di grandi somme ricavate da sequestri di persona e da rapine. L’assalto ad un così elevato livello del potere statale avviò un processo che in fasi successive poté riverberarsi contro le stesse cellule eversive. Non è un caso che dopo la cattura del capo della colonna romana Mario Moretti realizzata nel 1981 e i successivi interventi legislativi verso "i pentiti" e "i dissociati" le bande terroristiche subirono l’avvio conclusivo della loro folle esperienza. L’arresto e la morte di Moro preparò la fine del tentativo di creare in Italia le condizioni per una prospettiva statale di tipo comunista-stalinista.
     Il "Segreto di Moro" stava proprio nell’opera dello statista e dei suoi interlocutori per arrestare un pericoloso riflusso verso la destabilizzazione dell’Italia al suo interno e nei rapporti con la politica atlantica degli Stati Uniti d’America. Le Brigate Rosse proponevano lo scambio tra il prigioniero e gli arrestati dopo i conflitti armati. La risposta immediata e netta fu per il rifiuto contro ogni possibile trattativa. Persino l’intervento del Pontefice Paolo VI per un possibile riscatto dell’on. Moro non produsse alcun effetto. Solo il Partito socialista italiano ed il suo segretario proponevano iniziative che, in altri tempi, avevano consentito la liberazione del giudice Sossi, del generale americano Dozier e del consigliere regionale Cirillo.
     La dura "linea della fermezza" dello Stato contro ogni trattativa e la consulenza del comitato degli esperti ad hoc avevano fatto scorgere nella parola Gradoli solo il facile nome di un paesino del Lazio piuttosto che quello della via romana intitolata allo stesso paese. Quando le forze dell’ordine giunsero nel covo posizionato in quella strada i delinquenti si erano volatilizzati lasciando non trascurabile materiale. Sorsero sospetti e intromissioni di oscure complicità tra forze opposte alla linea di Moro nell’ambito di uomini di destra. La vocazione nazionale al complotto "che cosa c’è dietro" non mancarono. Quel che è certo che con la scoperta del cadavere di Aldo Moro in una strada centrale di Roma, baricentrica tra le sedi dei due maggiori partiti italiani, si compiva simbolicamente l’obiettivo di contrastare la stabilizzazione in una alleanza ampia nella formula di governo e nei rapporti tradizionali dell’Italia.
     Se impropriamente si dovesse confrontare il conflitto tra i capi della struttura piramidale terroristica e la figura dell’ostaggio, a vincere l’episodio tragico storicamente fu Aldo Moro.
     Anche se il pericolo che percorse il Paese è stato rimosso nel tempo è bene ricordare gli obbiettivi terrificanti delle Br. Il senato politico occulto dei terroristi puntava alla presa del potere, una guerra civile di lunga durata, la realizzazione dell’esercito proletario. Ebbene, rileva Corrao, come i sindacati utilizzarono le tensioni del tempo per rafforzare talvolta il loro ruolo.
     Con quella orribile vicenda del 1978 si compì la fine dell’Italia come "repubblica dei partiti". La fine della dominanza delle forze politiche che quei partiti rappresentavano fu ineluttabile. La critica verso l’intera classe politica costituì una svolta che costituirà l’avvio di un rapporto tra la collettività nazionale e le forze politiche fondata sulla democrazia plebiscitaria. Il superamento delle strutture associate in genere e la presenza di nuove forme di comunicazione e di espressione del consenso con i nuovi mezzi telematici aprì l’attuale fase della comunicazione politica dall’alto.
     L’autore simulerà con felice ironia dialoghi e figure del passato e del presente politico.

di Marcello Tuveri - 16/03/2021


Scarica la Prefazione del libro Il segreto di Moro



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