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Cogito, sed non sum

Ero nudo come un verme, su quel soppalco, o almeno così credevo. Mentre lei, sorrisetto da Monna Lisa, mi guardava con incerto desiderio. «C’è qualcosa che non va?» chiesi perplesso. Un «» secco arrivò per risposta: «levati l’orologio; non lo sai che quando ci si ama il tempo non esiste».
     Il ricordo di quei tempi è ormai sbiadito nella mia mente, ma quella frase, sull’inesistenza del tempo, continua a rimbombarmi nelle orecchie, da anni. Ho molto letto su questo concetto così sfuggente, tanto da aver ormai chiaro nella mente tutto quel che c’era al riguardo da capire: ovvero che del tempo non abbiamo mai veramente compreso molto.
     Senza scomodare santi, filosofi e sapientoni, che sul “tempo” han detto di tutto, val la pena soffermarsi su una affermazione di Antonino Zichichi, che ho intercettato di sfuggita in una trasmissione televisiva alcuni di anni fa. Lo scienziato affermava, con convinzione, che «il tempo è la parte immaginaria dello spazio». Zichichi si riferiva ad alcuni calcoli matematici complessi, ad esempio riguardanti lo studio delle correnti elettriche, che vengono risolti facendo ricorso all’unità base immaginaria, “la radice quadrata di meno uno”, che per sua natura intrinseca non esiste nella realtà, ma fa comodo utilizzarla. Accade così che fenomeni fisici reali vengano studiati con entità matematiche che sono composte da una parte reale ed una parte immaginaria.
     Secondo la teoria di Zichichi, lo spazio ed il tempo sarebbero intimamente legati fra loro e farebbero parte di una medesima entità: in sostanza "il primo è la parte immaginaria dell’altro", e viceversa. Nati nello stesso istante iniziale, spazio e tempo coesisterebbero, legittimandosi a vicenda, costretti eventualmente a scomparire nello stesso momento.
     Torniamo sulla terra, ora, e riflettiamo. Mentre ci troviamo nella condizione di definire realmente lo spazio in cui viviamo, con i suoi oggetti, i suoi movimenti, i suoi colori, ove le affermazioni di Zichichi fossero vere, saremmo solo in grado di intuire la presenza del tempo, senza poterlo identificare univocamente, in quanto esso si sostanzierebbe nella parte immaginaria dello spazio. Il tempo sarebbe dunque una entità irreale, in presenza di uno spazio reale.
     Al contrario, se fossimo in grado di definire univocamente il concetto di tempo, avremmo difficoltà nel percepire lo spazio, che questa volta si configurerebbe come parte immaginaria di un tempo reale. In questo caso ai nostri occhi scomparirebbe quel che ci circonda, ovvero l’ambiente che caratterizza la nostra esistenza di esseri umani.
     Va bene: sto finendo anch’io per fare il sapientone. Ma val la pena continuare con le riflessioni, che potrebbero addirittura condurci a chiarire il mistero della nostra esistenza. Perché c’è sempre qualcosa che ci sfugge quando tentiamo, razionalmente, di addentrarci nella spiegazione dell’origine dell’universo, quando cioè facciamo riferimento a quel primordiale big bang dal quale avrebbe avuto origine l’universo, nel rispetto della celeberrima equazione di Einstein, E=mc2, che definisce le trasformazioni da energia a materia, e viceversa.
     Chiediamoci: “ma prima dell’esplosione originaria cosa c’era?”. Anzi, riformuliamo la domanda: “prima del big bang c’era qualcosa?”: perché qui sta il nodo della nostra vicenda cosmica, legato indissolubilmente allo spazio e, come detto, al tempo.
     L’identificazione che facciamo dello spazio, e la percezione che abbiamo del tempo, in un certo senso ingannano i sensi dell’essere umano. Egli è stato indotto alla semplice conclusione che se esiste lo spazio, e percepisce il tempo, è evidente la sua propria esistenza. Cartesio sintetizzò tutto nel celebre “cogito, ergo sum”.
     Ma un po’ di trasgressione non ha mai guastato: ed eccomi pronto a contestare il famoso motto. Partiamo da un’altra supposizione, ipotizzando di non esistere. Tralasciamo per ora tutte le contestazioni immediate che vengono in mente al lettore, e proviamo ad ipotizzare un’esistenza che non c'è. O, meglio, che esiste nel particolare, come entità parziale, ma che non esiste nella sua complessità, nel suo insieme. E' lecito credere, seguendo il nuovo ragionamento, che prima del big bang non ci fosse nulla: ovvero, ci fosse “il nulla”.
     E che questo “nulla” si sia scomposto, sia per così dire esploso, creando infinite parti che percepiamo come esistenti, ma che nel loro insieme formino “il nulla”, come accade ai colori: miscelandoli tutti si forma il bianco. Ecco, se il bianco rappresentasse “il nulla”, i corrispondenti colori sarebbero gli oggetti immersi nello spazio e nel tempo, insieme che percepiamo realmente, ma che, ricompattato, smetterebbe di esistere. E dunque spazio e tempo, reciproche parti immaginarie di un universo percepibile, esisterebbero solo come deformazione del nulla.
     Il che, non ci sembrerebbe vero, farebbe tornare i conti sulla creazione fisica dell’universo, per il momento affidata ad un essere supremo sempre esistito, ma che nel nostro caso entrerebbe invece in azione nell'istante della creazione dell'universo. Un Dio, prodottosi lui stesso dal nulla, diventato operativo nel momento dell'esplosione iniziale, quella a cui segue il "kosmos". Per tutte le religioni Dio assume l'identità del "Supremo": nella mente degli umani Dio è sempre l'"Origine".
     Ipotizzando invece un’unica nascita per tutte le realtà, materiali e spirituali, a seguito dell’esplosione del “nulla”, assumerebbe ad esempio inedita importanza la religiosità umana di Giuseppe Mazzini, quel suo “Dio è popolo”, definizione che si adatta perfettamente ad un’origine del tutto, dal nulla. Ma anche la definizione che i massoni danno del loro Essere superiore, il "Grande architetto", sembrerebbe avere dei possibili riflessi sul nostro ragionamento.
     Se avessimo la possibilità di ricomprimere l’universo, probabilmente esso scomparirebbe. E forse questo accadrà quando, alla dilatazione seguente all’esplosione originaria, farà seguito un’implosione, una sorta di collassamento globale (i buchi neri), che riporterebbe al nulla quello che oggi ci appare tutt’intorno. Seguendo questo concetto, potremmo ipotizzare, per “il nulla”, una sorta di pulsazione: esplosione/implosione. Non solo il creare, ma anche il distruggere: che, a ben vedere, sono gli ambigui aspetti che si riflettono nell'essere umano, mirabilmente fissati da Dostoevskij nel suo "Guerra e pace". Insomma, per sintetizzare, noi esisteremmo: ma solo come parti di un insieme che non esiste nella sua globalità.
     Dimenticavo: per il pensiero umano razionale, supporre di non esistere rappresenta un dramma. Ma solo il pensiero ci può far comprendere quello che l’uomo non vorrà mai ammettere: “cogito, sed non sum”, "penso, ma non esisto".
di Giovanni Corrao - 2/12/2020



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