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Il pizzo politico

Ci sono stati partiti, anni fa, che con leggi ad hoc hanno creato un impero elettorale. E partiti che oggi scavalcano le leggi, col beneplacito della magistratura. D'altro canto è risaputo: al "potere" tutto è concesso, purché si mandino in galera i ladri di polli.
     Negli anni passati uno dei metodi ben collaudati per garantire voti ad un partito era quello di assumere un disoccupato, facendogli firmare una busta paga che veniva a lui pagata in minima parte, mentre i contributi li pagava lo Stato per alcuni anni, e chi scaricava la spesa della busta paga per intero risparmiava in tasse il tanto da consentirgli di liquidare qualcosa al novello occupato, utilizzato infine per far campagna elettorale. Lo strano giro contabile portava molti giovani a pensare che il partito o la cooperativa "mi regala soldi senza lavorare".
     Oggi, se si assume un dipendente facendogli firmare per intero una busta paga, ma pagandogliene solo una parte, oltre alle multe si rischia una condanna penale. Ma non sempre! Infatti ci sono dei settori dove è possibile chiedere apertamente il pizzo ad un lavoratore senza che la magistratura abbia da ridire.
     Scendendo al concreto, e facendo finta di non sapere dove spesso vanno a finire i soldi dei contributi pubblici ai partiti, basterà a far d'esempio il botta e risposta pubblicato su La Nuova Sardegna del 9, 10, e 15 agosto u.s. tra Marcello Fois ed il senatore Gianni Marilotti. Senza entrare nel mezzo del battibecco, basterà accontentarsi di sapere che, secondo quanto pubblicamente ammesso dal parlamentare, dal suo stipendio di 13.500 euro ben diecimila gli sono obbligatoriamente sottratti sotto forma di "restituzioni, spese per eventi, ed attività di Gruppo". Quindi il Movimento 5 stelle, per candidare qualcuno nelle proprie liste, pretende il versamento nelle proprie casse del 75% circa dello stipendio degli onorevoli eletti. Com'è noto, parte di questi soldi sono stati rimessi in gioco dal Movimento finanziando attività produttive: ma pretendere parte dello stipendio di un lavoratore non sembra essere una prassi corretta, anche se la magistratura non ha mai avuto da obiettare.
     Ma il fenomeno non si ferma ai soli Cinquestelle: si sa bene che anche gli onorevoli delle altre formazioni politiche devono versare. In questo caso non si sa né quanto, né a chi vengano dati i soldi. Infatti, se ufficialmente sono i partiti a designare i candidati, di fatto si potrebbe supporre che nello sfondo si attivino logge massoniche, associazioni religiose, e combriccole varie, che si arricchiscono con i soldi di altri lavoratori. Il discorso, in quest'ultimo caso, lo si può estendere anche a cariche ottenute per intercessione lobbistica, quali quella di commissario, membro di consigli d'amministrazione, presidente di azienda, e via dicendo.
     Non v'è differenza di principio tra lo stipendio di un semplice lavoratore e quello di un onorevole. Pretendere il pizzo sul reddito di un altolocato può far gioire qualche invidioso, ma non chi crede che la legge sia uguale per tutti. Si spera in un prossimo futuro che proprio i signori dei Cinquestelle, che stanno avanzando un DDL, dove oltre al taglio dei parlamentari vi è la riduzione di quanto da loro percepito, la smettano di taglieggiare i propri eletti.
     E che i sigg. Procuratori della Repubblica prendano finalmente in esame le brutte abitudini di quelli che ci governano: e soprattutto di chi gli sta dietro.

Giovanni Corrao - 18/08/2019



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