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Passato e presente nella politica italiana

     Per cercare di capire il presente ed individuare un futuro nella politica italiana converrà risalire (lungo tempi non brevi) al corso delle vicende dopo la fine della guerra 1940-45.
     La Democrazia Cristiana ha governato il Paese per circa mezzo secolo. Applicò una regola non scritta della nostra vicenda storica: per governare un paese così variegato geograficamente e politicamente bisogna avere sempre ampie maggioranze.
     Cavour iniziò col "connubio" centro-destra e centro-sinistra di Rattazzi nel 1851 per avere una maggioranza stabile nel Parlamento subalpino. La destra governò con il "connubio" sino al 1876 ma il riformismo trasformista di De Pretis fu anch'esso un governo di larghe intese. Giolitti continuò il sistema di grosse maggioranze liberali sino alla sua caduta.
     Mussolini andò al potere con 30 deputati fascisti, l'appoggio della Monarchia, che ordì il colpo di stato, ma con una maggioranza parlamentare vasta (liberal-nazionali, cattolici di Sturzo e persino qualche socialista). La dittatura abolì, di fatto, la rappresentanza parlamentare ma è indubbio che il consenso al fascismo non mancò in buona parte degli anni della dittatura. E’ la dimostrazione di De Felice nei suoi volumi sul Duce. Cioè per governare l'Italia bisogna avere una opposizione debole o inesistente. La fine della Democrazia Cristiana, autogestita da un gentiluomo come Martinazzoli (gennaio 1994), aprì la strada a Berlusconi che governò con la Lega e senza la Lega con successi elettorali interrotti solo per brevi periodi dalle errate ed inefficaci gestioni dell'Ulivo e del centro sinistra.
     Non si può che condividere la circostanza per cui nel 1994 Berlusconi finì la sua prima esperienza di governo quando la Lega lo abbandonò perché non aveva ancora assaggiato il frutto proibito del potere romano (R.A.I., finanziamento pubblico, presenza nelle banche e nelle più grandi aziende pubbliche - persino l'INPS è nelle mani di un leghista come Mastrapasqua - ma sono fatti successivi).
     Con le elezioni politiche del 1996 ci provò Prodi. Ma solo dei folli potevano credere che Bertinotti, che nella sua vita sindacale (si dice) non avesse mai voluto firmare un contratto, potesse sostenere un governo di centro sinistra. D'Alema e quel che ne seguì fu una delle tante operazioni di composizione e di aggiustamento che Cossiga e alcuni eredi diretti della DC tentarono con la composizione degli opposti allo scopo di non cambiare nulla. Ma fallì.
     L'attacco recente del Governo Monti alla Pubblica Amministrazione, ma soprattutto ai suoi dipendenti, ha riacceso la polemica sulla tesi che con le leggi Bassanini il potere sia passato nel 1997 dai politici ai dirigenti. Ricorderò solo che il Ministro Bassanini, un tecnico di diritto amministrativo, prestato alla politica prima nella sinistra DC di Donat Cattin, poi nel Partito Socialista di Craxi e, dopo una esperienza nel Pds, alla Cassa Depositi e Prestiti che gestisce i molti miliardi del risparmio postale per conto di Berlusconi e Tremonti. È ancora in carica.
     Vorrei ricordare come negli anni '90 il prof. Bassanini tentò un certo decentramento amministrativo con cento decreti legislativi in applicazione della legge 142 che, a Costituzione invariata, doveva realizzare una certa "deconcentrazione" della farraginosa gestione ministeriale. Ma, è bene ricordarlo, nel 1993 aveva introdotto, con l'aiuto di altri illustri tecnici come Cassese, nell'ordinamento giuridico italiano il principio anglosassone della separazione tra politica e amministrazione. Il risultato di quella scelta è stato l'affidamento agli organi politici del potere di nomina, senza nessun concorso o altra forma di selezione, dei dirigenti che ricevono un incarico a termine che dura quanto il Governo o il Ministro, salvo cambiamenti frequenti di "casacca" del funzionario. L'unica novità è il cambiamento "formale" della responsabilità tra politica e alta amministrazione. Risultato: nessun ministro ha pagato per le responsabilità, per i suoi errori e solo pochi dirigenti sono transitati, come birilli, ad altri incarichi. La corruzione in Italia è aumentata con progressione geometrica. Le consulenze esterne hanno accresciuto i costi della amministrazione. Esempio: a Cagliari in un solo anno il loro costo è stato di 1.700.000 euro. Voglio dire che lo "spoil system" anglosassone ha accresciuto il sistema clientelare e familistico della organizzazione pubblica.
     Ma se la Pubblica Amministrazione piange inefficienza e corruzione ai tre livelli di governo (Comuni, Province, Regioni, Stato) ed alla miriade di enti che ingombrano il territorio (Consorzi, aree, enti, aziende "in house") non possiamo ridere pensando all’assetto generale dello Stato: tre commissioni bicamerali (Bozzi, Jotti, D'Alema) non hanno prodotto alcuna modificazione nel loro assetto ad una delle migliori carte costituzionali esistenti. Mi soffermo sulla Commissione bicamerale, istituita con legge, e presieduta da D'Alema su proposta di Berlusconi. I due credevano di essere il Padre eterno, onnipotenti e onniscienti, nel cambiare l'Italia rivoltandola "come un calzino". È bastata l'assenza della Lega ad una seduta che semipresidenzialismo, bicameralismo non più paritario, pseudo federalismo, venissero mandati al macero. Tentavano una riduzione della democrazia rappresentativa con la nomina dell'alto di deputati e senatori. Ci sono riusciti grazie a Calderoli.
      Quando alcuni amici parlano di " intesa" ... tra Pdl e Pd, più che di "intesa" userei la parola meridionalissima di "inciucio" ispirato al solo scopo di importare in Italia il bipartismo o almeno il bipolarismo che domina nei paesi democratici. L'Italia ha una storia millenaria di particolarismi. In Italia c'è una società "liquida" (come ripete Berlusconi) cioè vi è una comunità che ha preso la forma del contenitore. Politici di professione, managers, sindacalisti di alto linguaggio, padroni del vapore hanno creato un blocco dominante che dispone dei due terzi del reddito nazionale, ne consuma in proprio una parte imponente ricavandola da un potere fiscale, che è iI più iniquo ed esoso del mondo. Dichiariamo che l'Italia è una democrazia liberale, ma nella società liquida si valuta solo il peso dei due partiti più forti. Anche se i partiti, forti o deboli, grandi o piccoli abbiano perso gran parte del prestigio e del consenso.
     Altri attribuiscono ad oscure figure come quella di un rappresentante di commercio e screditato trafficante internazionale un ruolo importante nella storia del Paese. Attribuire a Licio Gelli la proposta di far eleggere Tina Anselmi alla Presidenza della repubblica fa sorridere. La Anselmi, nominata Presidente della Commissione di inchiesta della P2, era ed è una brava persona, ma la millantazione del credito di Gelli era ed è ridicola. Il rappresentante della Lebole di Arezzo, esportatore temporaneo di stoffe che ritornavano dalla Romania come abiti senza bottoni per non pagare le imposte, era come tanti altri che si attribuiscono poteri solo allo scopo di gloriarsi di funzioni inesistenti. Poté lasciare ai suoi parenti qualche miliardo, poteva promettere la luna ma non aveva il modo di raggiungerla neanche con le sue conclamate amicizie di qualche dittatorello sud americano.
     Ma tornando al nostro tempo vien da chiedersi perché l'attuale capo dello Stato abbia favorito la scelta di un uomo della destra liberale per formare l'attuale governo. Rispondo con una osservazione banale: quando un natante in avaria imbarca acqua e rischia di affondare il primo problema è svuotare la barca e coprire la falla. La falla della barca Italia si è prodotta grazie al fatto che nella società liquida è stata sbattuta da una sponda all’altra, e stava sfracellandosi.
     Ricordare un discorso di Calamandrei sulla costituzione e sulle cause per cui in Italia si affermò il fascismo è opportuno. Il politico e giurista raccontava la favola dell 'Italia anni '20 al timone della quale stavano i liberali (Giolitti, Nitti, Facta). Sulla tolda c'erano i cattolici di Sturzo che Giolitti non guardava neanche in faccia. Alle macchine nella stiva c'erano i socialisti. Chi stava al timone gridava a chi stava alle macchine: "O Beppe, o Beppe la nave affonda se non turano la falla". Dal fondo il socialista Beppe rispondeva: "che m'importa, mica la nave è mia". La barca Italia affonda, il colpo di Stato di Vittorio Emanuele III completò l'affondamento. Ma chi pagò le spese dello sciagurato ventennio fu la barca intera, la società italiana, il solito popolo pantalone.
      In un paese in crisi profonda, aggredito dalla corruzione interna e dall'affarismo finanziario internazionale, non era possibile trovare uno sblocco governativo dopo che Berlusconi aveva rinunciato perché il suo governo era incapace di decisioni necessarie ma impopolari e la sinistra in minoranza alle Camere ma insensibile vantaggio nel Paese non era disposta a sfidare le elezioni e consentire il totale affondamento del Paese. Nessun governo, da chiunque guidato, che proponga come quello Monti di risalire una china pericolosa può essere popolare e solo un capo dello Stato che, per età e condizioni politiche, non aspira certo alla riconferma, poteva trovare una soluzione neutra, cioè tecnica.
     Ma anche la suluzione “tecnica” non è nuova per noi italiani. Ciampi venne estratto dalla Banca d’Italia per il Ministero del Tesoro, per la Presidenza del Consiglio e poi della Repubblica. Dini ebbe una breve esperienza nella Presidenza del Consiglio dei ministri.
Marcello Tuveri - 10/10/2012




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