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Quello fiscale non è federalismo

     Il federalismo fiscale di cui si vanno definendo alcuni istituti attuativi come quello “demaniale” ha un’origine teoricamente giusta ed un’applicazione sicuramente sbagliata.
     L’art. 119 della Costituzione aveva stabilito una forma di equa distribuzione delle risorse finanziarie tra lo Stato e le Regioni, le Province e i Comuni. La legge dello Stato che ha varato nel maggio del 2009 i principi generali del federalismo fiscale ha stravolto lo sperato processo di attuazione dell’art. 119 conferendo al Governo centrale una delega per l’emanazione di numerosi decreti legislativi. Il che è avvenuto riaffermando in teoria i principi di solidarietà e di coesione sociale. In pratica dando vita ad un sistema di ripartizione delle risorse fondato sul più rigido centralismo.
     La Lega Nord, dopo aver aspirato in passato alla secessione, alla devolution, all’indipendenza della inesistente nazione padana, arrivata al potere dei più importanti Ministeri romani (gli Interni, l’Economia e le riforme) inverte rotta e dal centro procede alla divisione dell’Italia in due aree: quella che disporrà delle risorse per progredire nel suo sviluppo e quella che viene condannata alla recessione e alla miseria.
     Punto centrale della cosiddetta riforma federo-fiscale è la riduzione coattiva del costo dei servizi essenziali (sanità, assistenza, trasporti pubblici e istruzione) con la sostituzione del “costo storico” dei servizi con il costo “standard”; vale a dire il costo dei servizi sarà fissato dal Governo e da alcuni organi ausiliari dipendenti secondo una valutazione propria ispirata ai dati di una o più Regioni cosiddette “virtuose”, cioè del Nord. Ove le assegnazioni stabilite dal centro non consentiranno l’equilibrio di bilancio, nelle voci di settore indicate, le Regioni dovranno provvedere con proprie imposte regionali ovvero accrescendo le diverse addizionali ad imposte dello Stato a pareggiare il bilancio. In tal modo i cittadini dovrebbero essere in grado di punire gli amministratori che aumentando le imposte non sono stati capaci di contenere i costi.
     Il principio dell’ottimalismo amministrativo è accettabile. Resta solo da dire come e quando i cittadini di entità come le regioni, le province o i grandi comuni potranno, sulla base di bilanci che ammontano a migliaia di voci e centinaia di pagine, erigersi a giudici contabili e di legalità dell’operato dei loro presidenti e sindaci. Vi è da dire poi che il costo dei servizi, di ognuno di essi, è soggetto a variabilità dovute a carenze di gestione (favoritismi, clientelismo, tangentismo, etc.) ma talvolta a fattori oggettivi.
     Distanza dei luoghi di produzione dei beni da quello di consumo degli stessi. L’Italia è terra lunga, come dicono gli arabi. Mancanza o deficienza delle infrastrutture: le vie del mare che separano la Sardegna dalla Penisola hanno costi di trasferimento tali da aver indotto le Ferrovie dello Stato a sopprimere i loro servizi attraverso naviglio. Sono esempi che dimostrano quanto ipotetiche siano le vie di una uniformità dei costi tra le diverse aree del Paese. Ma vi è qualcosa di più importante su cui riflettere.
     Il federalismo o i federalismi sono fondati, come dice la parola originaria “foedus”, sull’accordo, nel patto tra più soggetti. Il federalismo è una combinazione di autogoverno e di governo comune, cioè su uno stesso territorio coesistono un potere di entità politica autonoma locale e uno di un’autorità politica centrale.
     Il federalismo fiscale non è federalismo. Perché alla sua base non vi è alcun “foedus”. Al patto previsto dalle più lontane origini del federalismo si sostituisce un patto autoritario di natura centralistica. Per dare vita ad una struttura federale è necessaria una sede di incontro, di accordo tra i diversi soggetti, cioè le regioni e gli enti locali. Per realizzare tale sede non bastano organi consultivi ma sono essenziali quelli rappresentativi delle volontà politiche locali.
     Detto in parole chiare, finché non vi sarà un Senato delle Regioni non vi sarà federalismo ma centralismo e arbitrio dei più forti verso le regioni più deboli cioè quelle meridionali.
     Siamo molto lontani dal vero federalismo: quello istituzionale.

(pubblicato sul numero 107 giugno (3) 2010 del periodico web.tiscali.it/ilritrovodeisardi)


Marcello Tuveri - giugno 2010


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