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Il contibuto "repubblicano" alla nascita del Partito Democratico
09/10/2006

Articolo di Luciana Sbarbati e Fabio Basagni apparso sulla rivista bimestrale ITALIANIEUROPEI (Anno VI n. 4/2006)
Che bisogno c’e’, oggi in Italia, di un Partito Democratico, il “Partito della Democrazia” come gia’ lo chiamo’ 20 anni fa’ Giovanni Spadolini, primo Presidente del Consiglio laico dalla nascita della Repubblica ?
La risposta e’ chiara. E’ ormai evidente che il nostro quadro politico, cosi frammentato, così “tattico”, e’ inadeguato a reggere, e tanto meno a governare, le grandi sfide davanti a noi. E l’affermarsi dell’Ulivo e dell’Unione, che hanno delineato una risposta concreta, di governo - seppur con un esito elettorale non ottimale - e’ solo il primo passo verso una miglior governabilita’. Senza ulteriori passi avanti verso la creazione di un motore politico piu’ compatto, le indubbie capacita’ tattico-strategiche di Romano Prodi e Massimo D’Alema nel tenere assieme la coalizione di governo rischierebbero di logorarsi in mediazioni quotidiane tra soggetti politici diversi.
Le sfide che si profilano sono ingenti. La fine della contrapposizione Est-Ovest, che con la sua “Mutual Assured Destruction”(MAD) per oltre 40 anni aveva “impietrito” e a suo modo stabilizzato le tensioni mondiali (anche quelle vitali di molti paesi emergenti) ha liberato vasti e impetuosi processi di dislocazione sociale, amplificati ora anche da media ormai globalizzati. Milioni di persone sono in movimento fisico e mobilitazione mentale, generando flussi migratori e aspirazioni crescenti e multidirezionali. Molte piattaforme produttive e di servizi (dal tessile, alle scarpe, all’acciaio, all’oreficeria, al software, all’alimentare) si stanno riposizionando (non solo fisicamente, ma anche come controllo strategico) in Paesi emergenti, lasciando ampi vuoti occupazionali e strategici in ormai attempate economie industriali come l’Italia. I mercati finanziari, dotati di enormi e mobilissimi flussi d’investimento, sono diventati giudici severissimi delle competitivita’ delle nostre economie, in particolare di una cosi’ “disequilibrata” come quella italiana. L’aumento dei surplus commerciali e delle risorse finanziarie di molti Paesi emergenti li spinge verso politiche estere, militari e nucleari sempre piu’ spregiudicate. Il terrorismo internazionale, che e’ figlio anche di queste accelerazioni, sta mutando il profilo delle nostre vite e della nostra sicurezza. Perfino la “tranquilla e noiosa” Unione Europea, ancora in parte modellata sull’Europa dei 6, si appresta a diventare l’Europa dei 30, ed e’ impegnata ad attingere alla carica “vitalmente barbarica” dei popoli dell’Est Europeo, governandola , senza subirla.
Di fronte a cio’, il sistema politico sembra passivo, verboso e dispersivo, infarcito di polemiche formali volte a rimandare le difficili scelte da compiere - a sinistra (dove sono ancora presenti alcune tendenze massimaliste ed un certo “buonismo” indifferenziato imperversa) come a destra (dove, ad essere caritatevoli, il modello prevalente e’ il capitalismo vetusto dei privilegi, dei notabili e delle corporazioni).
Nello schieramento di Centro Sinistra urge compiere un serio sforzo di sintesi nei prossimi 6-9 mesi, perche’ nel 2007 lo scacchiere mondiale, soprattutto a partire dal nostro intervento in Libano di queste settimane, ci porra’ di fronte a dilemmi intricati e urgenti. Ogni nostra “storia” sara’ un contributo importante, ma dovremo andare oltre perche’ rispondere alle sfide future richiede una strumentazione ed un quadro ben piu’ ampi delle nostre singole provenienze.
 
La radici storiche e l’attuale collocazione dei Repubblicani Europei
Quanto ai Repubblicani Europei, una precisazione preliminare. Nell’era del bipolarismo italiano, pur con tutte le sue incompiutezze, la scelta di campo nell’area riformista e di CentroSinistra e’ inequivocabile ed in linea con la storia del movimento repubblicano e con la spinta riformatrice (rivolta verso la destra conservatrice come verso la sinistra massimalista) di Ugo la Malfa durante tutta la sua vita.
Del resto, il “Padre” di tutti i Repubblicani, Giuseppe Mazzini, quasi due secoli fa nell’Europa della Restaurazione post-Napoleonica , di fronte ai poteri assoluti che stavano recuperando il loro assetto, propugno’, con sommo pericolo, una delle piu’ grandi idee riformiste della Storia europea, l’idea repubblicana, basata sulla centralita’ del cittadino nel governare il proprio futuro attraverso libere elezioni. Il Partito d’Azione, da lui fondato, e’ il primo movimento democratico, fondato sulla responsabilita’ dell’azione di governo di fronte al giudizio dei cittadini, una posizione in quei tempi assolutamente “rivoluzionaria”. In “Doveri dell’uomo”, la cui prima stesura precede di qualche anno il “Manifesto” e di qualche decennio “il Capitale” di Marx, troviamo molti dei concetti che sono alla base del moderno intendere di uno stato laico e riformista. Concetti che riflettono il sentire di una sinistra “pre-marxista”, centrata sull’emancipazione dell’individuo piuttosto che su quella della classe. Un percorso in cui oggi riconfluiscono anche le componenti piu’ moderne della sinistra di storia marxista.
Anthony Giddens , in un articolo del 29 Agosto su Repubblica (“Il socialismo e’ morto, la sinistra no”) ha inquadrato cosi il problema del secolo “post-socialista”: il socialismo, nella sua concezione tradizionale e rivoluzionaria, e’ probabilmente finito nel 1989, ma i valori di sinistra no. Intendendo per sinistra quelle forze politiche orientate verso la costante apertura della societa’, la sua evoluzione a fini di progresso sociale, all’“inclusione” del diverso, alla ricerca costante dell’eguaglianza di opportunita’, dell’equita’, a prescindere da censo, razza, religione e quant’altro.
E’ anche utile ricordare che Mazzini , pur essendo credente e polemizzando con loro contro l’uso della “violenza di classe” nella lotta politica, partecipo’ attivamente insieme a Marx, Engels e Bakunin alla nascita della Prima Internazionale nel 1864. Nessuno scandalo quindi se oggi il nascente Partito Democratico, con la sua componente repubblicana, fara’ parte della sinistra democratica in seno al Parlamento Europeo.
L’odierna adesione dei Repubblicani Europei al gruppo Liberal Democratico del Parlamento Europeo, attuale ieri come oggi in un quadro politico ancora frutto di antiche appartenenze, dovra’ evolversi in tal senso, se in Italia riusciremo a dar luogo a questa grande forza di sintesi delle tendenze riformiste. Ognuno dei fondatori dell’Ulivo ha una storia importante e orgogliosa a cui far riferimento. Essa non scompare. La portiamo dentro di noi. Il Partito Democratico deve nascere come incontro fra le culture democratiche italiane: il socialismo, il cattolicesimo riformista, il liberalismo, il repubblicanesimo.
Sono le culture che hanno fatto dell’Italia un Paese moderno e avanzato, un Paese di democrazia - culture che hanno lottato in clandestinita’ durante le pagine piu’ cupe del Paese. L’unità nazionale, la democrazia, le Repubblica sono compiti che queste culture hanno affrontato sempre insieme. Ora e’ di nuovo tempo di riconoscersi in un approccio unitario di fronte alle grande sfide, interne ed internazionali che ci fronteggiano, tutti insieme con pari dignita’ politica.
 
La forma “primaria” del Partito Democratico
Tralasciamo per ora gli aspetti organizzativi, ma ribadiamo due temi primari sulla “forma” del PD. Innanzitutto il profilo fondamentale del rapporto tra PD e cittadino, dovra’ essere basato sulla laicita’ dell’operare politico. Questa e’ la “forma primaria” di una democrazia avanzata: la liberta’ di pensiero, di coscienza, di ricerca, di opinione, di azione all’interno di regole condivise. Una liberta’ mentale messa al servizio dell’espansione della prosperita’, della sicurezza e della giustizia sociale per una base sempre piu’ larga di persone. Consci della forza delle tradizioni storiche, religiose e culturali del popolo italiano (nella sua straordinaria e ricca diversita’) dobbiamo essere talmente forti da non ergerle a bastioni artificiali contro il divenire della societa’.
Secondo, il successo delle Primarie ha mostrato quanto sia importante colmare il gap di partecipazione politica (soprattutto giovanile e femminile) in Italia. Il deficit democratico si scorge in alcuni fenomeni di malessere devastanti, dalle periferie degradate ai giovani che si ritengono “senza futuro”. Il Partito Democratico dovra’ strutturarsi in modo da dare la possibilita’ a tutti i cittadini di essere maggiormente coinvolti nei processi, ovvero di essere responsabilizzati e non trattati da meri consumatori. Essere un soggetto politico che ispira fiducia non e’solo questione di un’intelligente strategia di comunicazione , di stagioni politiche brevi ed effimere, incapaci di dare risposte alle domande profonde di senso che la societa’pone alla politica. E’ il frutto di una vera apertura partecipativa a tutti i livelli a cui il PD dovra’ dare forme organizzative convincenti.
 
I contenuti programmatici 
Per chi viene da una storia repubblicana ribadire la centralita’ dei contenuti rispetto alla tattica di schieramento e’ quasi banale. Il “ laboratorio di contenuti ” e’ stata una caratteristica fondamentale dei Repubblicani negli ultimi 50 anni. E’ importante che il nascente Partito Democratico continui su questa linea. Qui ci preme segnalare alcuni contenuti chiave, nella moltitudine che sarebbe interessante citare, che il nuovo Partito dovrebbe sviluppare come pilastri della propria azione:
·                    La priorita’ assoluta di un progetto riformista e’ far funzionare e rendere credibile lo Stato, nei suoi vari snodi, come erogatore di servizi e garante di regole, non come fornitore di sussidi. Se lo Stato funziona e mantiene regole chiare nella societa’ e nel mercato, il sistema economico, nei suoi vari soggetti, e’ capace, se ha in se’ i giusti “animal spirits”, di rispondere alle sfide della competitivita’ internazionale. Ma alla pari del cittadino-consumatore l’impresa ha diritto ad uno Stato che dia i servizi per i quali le tasse vengono pagate. Far funzionare meglio lo Stato e’ la piu’ grande sfida dei democratici, perche’ questa e’ la base per ogni speranza di ristabilire un rapporto di fiducia col cittadino. Questa priorita’ si articola in vari contesti :
·                    Una politica fiscale che ponga al centro la lotta sistematica all’evasione, come il governo Prodi ha iniziato a fare con decisione, e quindi una piu’ equa ripartizione del carico fiscale tra le varie categorie, mentre dal lato della spesa riqualifichi le sue varie componenti, aumentando le risorse su quei servizi “strategici” (dalle infrastrutture, alla sanita’, all’educazione, alla giustizia e sicurezza) che possono aumentare l’efficacia complessiva del sistema Paese e il grado di soddisfacimento dei cittadini verso questi servizi.
·                    Una strategia industriale che NON si traduca in sostegni diretti alle imprese ( nemmeno quelli fiscali sono determinanti ai fini competitivi, come dimostra la straordinaria performance dell’export tedesco e scandinavo) ma favorisca l’allargamento del mercato e della competizione, meccanismi spiccatamente “democratici” se basati su regole trasparenti ed uguali per tutti - regole dotate anche di una certa severita’ e non gestite discrezionalmente. Il modello “oligopolistico” implicito nell’azione della precedente maggioranza della CDL, e’ l’opposto del mercato come noi lo intendiamo, perche’ favorisce comportamenti distorsivi e il mantenimento di privilegi in vari soggetti economici.
·                    Una strategia energetica che riporti in prima linea il tema del risparmio energetico e delle energie rinnovabili, senza protrarre la nostra dipendenza da fonti esterne non rinnovabili. Questa dipendenza ci rendera’ sempre piu’ vulnerabili (economicamente e politicamente), ma in ogni caso lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili della Terra e’ in se’ un processo denso di tensioni (ambientali, logistiche, socio-politiche) insostenibili a medio-lungo termine. I Paesi scandinavi, invece, hanno un track record interessante sui due fronti. Standard costruttivi gia’ sperimentati in quei Paesi permetterebbero di risparmiare una percentuale rilevante del fabbisogno energetico nazionale
·                    Il recupero del controllo del territorio, particolarmente in quelle regioni nelle quali gli onesti cittadini e imprenditori non si sentono parte di un trasparente sistema di mercato, ma prigionieri non solo delle mafie organizzate, ma anche dell’inerzia conseguente a decenni di abbandono (o “scaltro” disimpegno) da parte dello Stato. Di seguito approfondiamo con esempi concreti sia questo tema che il seguente.
·                    Una politica estera e di sicurezza che, pur mantenendo solidi legami con gli USA (legami dialettici ovviamente), ponga inequivocabilmente al centro delle proprie iniziative un forte ruolo dell’Europa nel governo del sistema mondiale , nella riduzione delle tensioni e della poverta’, accettando i costi e le responsabilita’ di questa sfida. In questo sforzo e’ necessario che l’azione Italiana sfugga all’ovvieta’, a tentazioni retoriche o di “reattivita’ meccanica” e diventi piu’ creativa e articolata.
 
Il governo Prodi ha gia’ dato indicazioni importanti su molti di questi versanti. Tuttavia e’ nostro compito proporre alla discussione anche approcci nuovi, una capacita’ di ragionamento, “out of the box”, fuori da schemi mentali rigidi, focalizzando su obiettivi concreti e raggiungibili.
 
Due esempi di attualita’
Due esempi possono dare un’idea del tipo di approccio “out of the box” , cioe’ non conformista, fuori dal coro, che sarebbe utile nell’ affrontare alcuni dei temi piu’ caldi del momento.
 
La politica di sicurezza Europea e la stabilizzazione del Libano
L’intervento europeo ed italiano in Libano, inteso a Parigi e Roma come la visibile ripresa di una Politica Europea di Sicurezza e Difesa (PESD) dopo il “buio irakeno” e’ stato senza dubbio un atto di coraggio e di respiro strategico. Una proiezione militare come strumento di una politica estera Europea e’ una tappa essenziale nell’assunzione di responsabilita’ globali. Tuttavia, a nostro avviso, la decisione (pur attuata con prontezza tattica da parte del nostro governo) nell’attuale contesto del Medio-Oriente e del nebuloso mandato ONU presenta rischi politici e militari molto alti rispetto ai benefici politici ed economici sperati . Tuttavia una diversa e forse piu’ efficace politica e’ pero’ ancora possibile . Investe la possibilita’ che l’Europa dia un ruolo strategico alla Turchia nella stabilizzazione del Libano.
Alla ricerca di una sua egemonia regionale, il presidente Iraniano, a partire dal mese di febbraio, ha colto lo snodo strategico del periodo 2006-2008 : la debolezza politica ed il sostanziale disimpegno di Bush dai temi mediorientali nei suoi ultimi due anni di Presidenza. Israele e’ ora piu’ solo, e lo sa (di qui le sue mosse disperate), mentre si e’ aperta una finestra di opportunita’ nello scacchiere geo-strategico medio-orientale per chi la vuole sfruttare al fine di destabilizzare ulteriormente gli alleati dell’Occidente nella zona.
Ahmadinejad, che ha un disegno strategico ampio ora che l’Irak di Saddam e’ nel caos, ha quindi “attivato” gli Hezbollah libanesi, creando i presupposti di un secondo fronte nel quale impegnare e possibilmente fare impantanare gli USA ed i suoi alleati, proprio nel momento in cui il suo programma nucleare sta per raggiungere uno stadio critico e l’ Occidente si appresta a imporre sanzioni all’Iran.
In questo quadro, nonostante le nostre costruttive intenzioni nell’area, la presenza di truppe con una forte componente europea, e quindi cristiana, rischia di essere critica, sia da un punto di vista militare che politico. Innanzitutto esse sono troppo scarse, e troppo diversificate; per essere efficaci ci vorrebbero almeno 30mila uomini perfettamente integrati da un punto di vista operativo (cioe’ “interoperabili”) e con un raggio di azione piu’ vasto di quello previsto dall’ONU. Di fatto, potranno non prevenire ma solo rispondere ad atti ostili, trovandosi cosi in difetto di iniziativa tattica, una posizione contraria ad ogni logica militare.
Politicamente la situazione e’ altrettanto critica. La presenza di truppe “cristiane” nella regione puo’ dare l’opportunita’, a chi “governa” il fanatismo o anche solo i normali sentimenti islamici, di denunciare una nuova “crociata” contro l’ Islam. D’altra parte, anche prima di scatenare la “resistenza verso la nuova Crociata”, l’Iran usera’ il nostro evidente stato di debolezza militare in Libano come arma di contrattazione nel negoziato sui suoi progetti nucleari nei prossimi mesi. Ma fondamentalmente, le nostre scarse forze militari in Libano potrebbero divenire ostaggio di uno schema pilotato da chi ha la capacita’ di mobilitazione di milioni di persone in Medio Oriente (e perfino in Occidente). Mobilitazione che puo’ preludere all’acquisizione di un’influenza schiacciante su Paesi finora “pro-occidentali” come Giordania, Egitto e magari Arabia Saudita. Sara’ sufficiente, dopo un decente intervallo “ricostruttivo” che potrebbe durare mesi (e in cui Hezbollah si rafforzera’), “riattivare” gli Hezbollah, dopo il dispiegamento delle truppe Europee costringendole a reagire insieme ad Israele.
Su questo sfondo la strategia per cui mobilitarsi in Europa potrebbe essere diversa e piu’ articolata : un chiaro mandato politico dell’ONU alla NATO - che ha le strutture per portarlo avanti efficacemente ed e’ da qualche anno sempre piu’europea” e meno identificabile con gli USA. L’incarico dovrebbe essere quello di “normalizzare” una zona piu’ vasta del Sud-Libano, anche a Nord del Fiume Litani (dato che la gittata dei razzi sciiti puo’ oltrepassare i 70 Km). La NATO “europea”, pur mantenendo il comando strategico della missione, potrebbe utilizzare sul campo (almeno nei primi 12 mesi) prevalentemente truppe turche, che sono “ampie e robuste”(la Turchia ha oltre 500mila uomini ) e interoperabili tra loro, islamiche ma secolari. Con forze navali e aree europee solo in appoggio tattico-logistico. In tal modo la nozione di una “crociata” perderebbe molta trazione. I rischi militari sarebbero minori perche’ una forza unica sul terreno e’ ben piu’ efficace di un mosaico di forze nazionali distinte e di sistemi operativi differenti. Nel caso della Turchia, i ricordi dell’Impero Ottomano pongono dei problemi storico-politici nella regione, ma questi possono essere ricomposti all’interno di una maggiore affinita’ culturale e religiosa.
Potenziare il ruolo strategico della Turchia, nazione islamica ma secolare ed appartenente alle istituzioni del sistema di sicurezza occidentale, e farne uno degli stabilizzatori della regione, come contrappeso all’Iran, potrebbe essere un opzione strategica degna di approfondimento. Dibattito che ovviamente investe anche una accelerazione del negoziato sull’adesione della Turchia alla Unione Europea.
Chiedere alla Turchia di schierare 3 divisioni in Libano e’ un atto che implica una forte contropartita politica ed economica da parte nostra. Un’Europa a 25 paesi, e tra poco ancor piu’ allargata, e quindi con una massa critica “cristiana” rafforzata dai Paesi dell’Est, puo’ agevolmente accogliere un Paese musulmano senza che vengano compromessi i suoi valori culturali fondamentali.
 
Competitivita’, produttivita’ e controllo del territorio .
Il dibattito sulla competitivita’ e la produttivita’ del sistema Paese a nostro avviso ha focalizzato prevalentemente su serie statistiche “impersonali” e non sulle vere cause, sociali, del fatto che alcune importanti regioni del Sud Italia diano un scarso contributo alla creazione del reddito nazionale, almeno di quello “ufficiale”. Questa “sottoperformance”, questo dualismo, dipende non da mancanza di talento o incapacita’di lavoro, ma in gran parte perche’ in quelle regioni lo Stato non ha il controllo totale del territorio e del contesto in cui le attivita’ economiche in esso presenti (o possibili) dovrebbero svolgersi senza condizionamenti. I condizionamenti malavitosi, che hanno costi sociali enormi e si diramano anche in talune aree del Nord, sono ormai un freno inaccettabile non solo per la liberta’ degli individui , ma anche per la competitivita’ complessiva del Paese.
In un Paese “ normale” il primo atto di politica economica focalizzato al problema sarebbe quello di ripristinare un maggior grado di controllo sul territorio da parte dello Stato, senza “benaltrismi”, con decisione e con misure concrete, non di natura straordinaria ma ordinaria e continua. Allora discutiamo un’idea provocatoria, ma forse utile a sbloccare il dibattito stagnante sul tema.
Il bilancio dell’Arma dei Carabinieri (un’istituzione che ha la stima degli Italiani e che il mondo ci invidia per professionalita’ e affidabilita’) e’ di soli 4 miliardi di Euro circa, che finanziano tutte le attivita’ dei suoi 115mila uomini e, non dimentichiamo donne, sparsi sul territorio nazionale. Aggiungendo un solo miliardo l’anno (una inezia rispetto ai torrenti di trasferimenti al Sud gia’ fatti e da fare) si potrebbe:
- aumentare la forza di almeno 30 mila unita’;
- concentrarla stabilmente nelle 4 aree “ critiche” e bisognose di una maggior presenza dello Stato, raddoppiando o triplicando su base stabile la sua presenza in queste aree a rischio.
E’ ovviamente arduo quantificare a priori gli effetti di questa misura sul quadro economico meridionale, ma e’ ragionevole supporre che persino a Locri o a Corleone le ricadute positive sulla libera attivita’ economica e socio-politica sarebbero visibili. Questo atto, a nostro avviso, porterebbe ad un concreto miglioramento del potenziale economico complessivo, sia del Sud che del Paese. E sarebbe di per se’ un potente segnale ai cittadini di quelle regioni che lo Stato e’ determinato ad assisterli nello sviluppo della loro vita civile, nella loro capacita’ di lavorare in modo libero, di intraprendere, di creare valore, di attrarre investimenti. Senza misure di emergenza, ma con una continua, stabile, crescente pressione sulle attivita’ criminali, organizzate e non.
Le critiche non mancheranno certo. Misura “irrealistica e tecnicamente non-fattibile?” E’ chiaro che non si formano 30mila nuovi Carabinieri dal nulla, ci vuole un po’ di tempo, ma ne e’ stato sprecato tanto che questo non puo’ turbare un Paese privo dell’urgenza del tempo. “Misura parziale ed inadeguata alla complessita’ sociale?” Cominciamo con atti concreti, perche’ le famose “risposte globali” sono effimere, se non si compongono di atti specifici. “Misura antidemocratica e militarizzazione del Sud Italia?” Sciocchezze: i Carabinieri sono stati una componente importante del progresso democratico, civile, economico e del quadro di legalita’ del Paese, una componente stabile, di protezione preventiva dei cittadini. E poi chiediamoci :e’ piu’ “democratico”, “riformista “ e “di sinistra” proteggere gli onesti cittadini nelle loro varie attivita’ o lasciarli ancora in balia della malavita, come spesso succede in aree critiche del Paese ?
 
In conclusione, la discussione e la gestazione del Partito Democratico devono essere l’occasione per sviluppare senza remore i nuovi parametri del riformismo italiano. Dobbiamo essere consci che risposte miracolose non esistono, ma che se vogliamo tendere a risultati significativi la ricerca di nuovi contenuti non puo’ essere ingabbiata in schemi ossificati, insostenibili nel mondo globalizzato in cui viviamo.
 
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