di Margherita Mugoni                                                         28.06.2001

(a sei mesi dalla scomparsa)

     La targhetta della bara riportava questi dati anagrafici: Ghirra Salvatore, Benetutti 26/08/1923 – Cagliari 28/12/2000.

     Mentre la bara usciva dalla cappella del cimitero, non ci è stato nessun accompagnamento di essa scandito dall’applauso. Ora è di moda ritmare il commiato con questa sorta di saluto tribale. Sono sicura che tutti abbiano battuto le mani nel loro cuore, ciascuno a suo modo. Sono anche sicura che Salvatore abbia apprezzato il silenzio composto che segnava il dolore dei presenti e che faceva più rumore del plauso manifesto.

     Non era uomo di gesti esteriori. Era uomo di cose concrete, vissute nel credo della verità fino in fondo. Ho letto da qualche parte la solita polverosa definizione di Salvatore Ghirra, come quella di un “piccolo grande uomo”. Trovo l’etichetta banale e riduttiva. Ora basta non essere alti almeno un metro e settanta cm ed avere qualità rilevanti e si diventa come per magia lessicale “piccolo grande uomo”.

     Ghirristeddu, così lo chiamiamo nel Goceano ed a Benetutti in particolare, era una forza della natura positiva e passionale. Non si consentiva compromessi morali e  politici. La sua intelligenza brillantissima ed il suo acume sottilissimo, misti ad una onestà senza aggettivi, non permettevano il minimo cedimento di comodo. È stato maestro di interpretazione sociale e politica per tutti noi della “Cesare Pintus”. Ogni singolo fatto da lui veniva analizzato e chiarito criticamente con lucidità e schiettezza inoppugnabili. Ed anche con grande modestia e semplicità. Non si stancava di riflettere con noi e di illuminare i punti oscuri senza la presunzione di chi fa cadere dall’alto la superiorità intellettuale. E di superiorità di intelletto politico Salvatore Ghirra ne aveva da vendere. Un’esperienza sul campo e sulla pelle, che affondava le radici nella sua prima giovinezza. Giovinezza segnata da una entusiasta ribellione combattiva al regime fascista ed a qualunque forma di sopraffazione umana.

     L’adorata sorella Giovanna, amatissima e seconda mamma per Salvatore, tremava e … pregava per la sua anima “de indemoniadu chena Deus”. Così racconta mia madre amica del cuore di Giuannedda Ghirra, e sua coetanea. Ma l’amore per gli ideali andava di pari passo con quello per la famiglia e non poteva essere posposto o rintanato in un sottoscala mentale di comodo.

     Salvatore doveva poter fare esplodere la sua energia vulcanica a favore della verità, a tutti i costi. Ed i costi spesso sono stati altissimi ed i conti pagati salatissimi. Ma il rispetto ed anche, perché no?, il timore reverenziale che emanavano da quell’uomo erano altrettanto formidabili. Non sento di essere retorica nell’affermare che, a distanza di sei mesi dalla sua scomparsa, Salvatore Ghirra ci manca. E tantissimo. È come se avessimo tutti noi della “Cesare Pintus” perso il “punto di riferimento”. Ci stiamo ricompattando faticosamente. Cercheremo di farlo con onore ed in suo onore.

     Con tanto rimpianto e grande affetto fraterno, adiosu Sarvadoreddu.